Milano, i tre casi giudiziari che hanno fatto più discutere nel 2021

Il Tribunale di Milano ospita sempre processi che fanno discutere. Tra le vicende milanesi più seguite nel 2021 ci sono proprio tre casi giudiziari. Hanno appassionato, diviso e fatto riflettere. Ecco quali sono.

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A sinistra l’ex procuratore di Milano Francesco Greco e a destra il pm Paolo Storari

In testa all’elenco dei casi giudiziari di Milano del 2021 c’è la spaccatura all’interno della Procura milanese. Una frattura che ha visto l’ex procuratore Francesco Greco – con gli aggiunti Fabio De Pasquale e Laura Pedio –  sul fronte opposto rispetto al pm Paolo Storari, sostenuto dall’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo. A dare il via alle tensioni, sfociate in una vera e propria guerra giudiziaria, sono stati i verbali – secretati – dell’avvocato siciliano Piero Amara, ex legale esterno di Eni.

Il falso complotto Eni e la Loggia Ungheria

Interrogato per il caso del “falso complotto Eni”, Amara aveva parlato della Loggia Ungheria. Una lobby segreta, in grado di condizionare nomine e appalti. Tanti i nomi eccellenti che avrebbero preso parte all’organizzazione, capeggiata a dire di Amara dall’alto magistrato Giovanni Tinebra, morto nel 2017. Nomi e circostanze che, per il pm Storari, meritavano un approfondimento immediato. Più cauto, invece, l’approccio dell’ex procuratore Greco e dell’aggiunto Pedio, contitolare dell’indagine. Comportamento che ha spinto Storari a rivolgersi a Davigo, perché a sua volta interessasse della vicenda i vertici del Csm e sbloccasse così gli accertamenti.

Per Storari, infatti, la prudenza – eccessiva – con la quale si erano mosse le indagini sulle rivelazioni choc dell’avvocato siciliano celava la volontà di “proteggere” le inchieste su Eni. E in particolare il caso della presunta maxi tangente da 1,1 miliardi di euro versata in Nigeria per ottenere la licenza sul campo petrolifero Opl-245. Un caso al quale l’avvocato Amara era collegato come teste a sostegno dell’ex manager Eni Vincenzo Armanna, grande accusatore dei vertici del gruppo di San Donato. La loro ricostruzione, però, non ha retto in primo grado. Il processo Eni Nigeria si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati.

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Gli interventi del Csm e della Procura di Brescia

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L’ex procuratore di Milano Francesco Greco

Inevitabile l’epilogo. Tutti i protagonisti sono stati sentiti dal Csm, che sta valutando le loro posizioni e ha acceso un faro sull’operato della Procura di Milano, così com’era stata organizzata dall’ex procuratore Greco. Che nel frattempo è andato in pensione, dopo aver compiuto 75 anni, ed è stato sostituito alla guida dell’ufficio da Riccardo Targetti.

Anche la Procura di Brescia – competente per le indagini relative ai magistrati milanesi – non è rimasta ferma. Sia per Storari sia per Davigo è stato chiesto il rinvio a giudizio per rivelazione di segreto d’ufficio. L’udienza preliminare prenderà il via il 3 febbraio davanti al gip Federica Brugnara.

Sempre il procuratore di Brescia Francesco Prete con il pm Donato Greco hanno indagato l’aggiunto De Pasquale e il pm Sergio Spadaro (ora alla Procura europea), per rifiuto di atti di ufficio nel caso Eni Nigeria. Contestano la gestione dell’ex manager Vincenzo Armanna, che avrebbe calunniato con l’avvocato Amara l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e altri top manager del colosso petrolifero. De Pasquale e Spadaro sono stati interrogati a lungo il 2 dicembre dai pm bresciani che ora dovranno valutare se inoltrare o meno la richiesta di rinvio a giudizio.

Anche l’ex procuratore di Milano Greco, e l’aggiunto Pedio sono stati indagati a Brescia per omissione d’atti d’ufficio. La posizione dell’ex procuratore è stata archiviata, mentre per l’aggiunto è in via di definizione.

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L’incendio nella Torre dei Moro in via Antonini

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La Torre dei Moro di via Antonini è andata a fuoco in appena 7 minuti. (foto dei vigili del fuoco)

Domenica 29 agosto, caldo, sole. Tutti fuori Milano per un’ultima giornata al mare o al lago prima di ricominciare. Forse è stato questo che ha permesso a tutti i condomini della Torre dei Moro, in via Antonini, di salvarsi. Il grattacielo di 20 piani, costruito una decina di anni fa nel quartiere Vigentino, a Sud di Milano, è andato a fuco intorno alle 17.30. E una decina di minuti dopo le facciate erano in cenere.

Le fiamme si sono mangiate la torre alta 60 metri in appena 7 minuti. Le facciate “a vela”, ultramoderne, erano state costruite con un materiale non omologato e altamente infiammabile. E proprio il rivestimento dei balconi e degli esterni –  fatto con un polimero della plastica – è colato sul resto dell’edificio, riducendolo in macerie.

Anche il sistema antincendio non ha funzionato correttamente. Nelle manichette, in diversi piani, non è arrivata l’acqua per domare il rogo. Ai pochi inquilini in casa – in tutto una trentina tra cui il rapper Mahmood – non è rimasta altra possibilità che scappare dalle scale verso la strada. Tra gli ‘sfollati’ anche Morgan, che abitava in una delle villette sotto la torre.

Il rogo si è sviluppato da un appartamento al 16esimo piano, vuoto da giugno. Probabilmente un mozzicone di sigaretta, caduto dall’alto, ha incendiato alcuni rifiuti che si trovavano sul balcone. Poi le fiamme si sono mangiate il palazzo.

Le case dalla Regione Lombardia e l’Imu

Tutti le 60 famiglie che abitavano nella torre e nelle villette ai piedi dell’edificio sono rimaste senza casa. Ospitate in hotel per i primi periodi, hanno chiesto aiuto al Comune e alla Regione per trovare una nuova casa. Alcuni alloggi sono stati assegnati la scorsa settimana dal governo lombardo. Altre 15 famiglie abitano ancora in hotel, a loro spese.

I vigili del fuoco li hanno aiutati a recuperare quel poco che era stato risparmiato dalle fiamme. I condomini hanno incassato la solidarietà di istituzioni, banche e privati cittadini. E anche delle famiglie che abitavano nella Grenfell Tower di Londra, distrutta dalle fiamme nel 2017. Tutti i proprietari avrebbero comunque dovuto pagare l’Imu, ma il governo si è attivato per cercare di evitarlo. 

Nel frattempo prosegue l’inchiesta della procura di Milano per accertare le cause e le responsabilità dell’incendio, senza precedenti. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Marina Petruzzella hanno iscritto nel registro degli indagati i responsabili delle ditte costruttrici e di quelle che hanno realizzato la facciata del grattacielo.

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Antonio Di Fazio che drogava e abusava delle ragazze

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L’imprenditore farmaceutico Antonio Di Fazio drogava le ragazze e poi abusava di loro.

Aveva iniziato con la moglie americana. Poi era passato ad altre ragazze, tutte giovani, belle e che avevano bisogno di lui. Antonio Di Fazio, 50 anni, è stato arrestato il 20 maggio per aver drogato con una forte dose di benzodiazepine una studentessa 21enne e poi aver abusato di lei. E aver scattato foto dei lei nuda e incosciente.

Il caso della 21enne, amica di famiglia e studentessa della Bocconi, non era isolato. La ragazza era stata attirata da Di Fazio nella sede della sua società, la Global Farma, con la promessa di uno stage. Di Fazio le ha offerto un caffè, ‘corretto’ con gli antidepressivi, e poi per lei c’è stato un black out. L’uomo l’ha portata a casa e per ore ha abusato di lei, l’ha fotografata senza veli, poi l’ha riportata nel suo appartamento. A ritrovarla, ancora intontita, è stato il fidanzato, che ha portato in ospedale la ragazza. Poi è scattata la denuncia.

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Altre 4 vittime e il tentato omicidio della ex moglie

Nel computer e nei telefoni di Di Fazio non c’erano solo le foto della 21enne senza vestiti e incosciente. C’erano decine e decine di scatti, anche di oltre 10 anni fa. Tra le vittime dell’imprenditore, si sono fatte avanti 4 ragazze che hanno raccontato tutto al procuratore aggiunto Letizia Mannella e al pm Alessia Menegazzo.

Sono tutte giovani studentesse, aspiranti attrici e modelle o imprenditrici. Di Fazio si era proposto loro offrendo un lavoro ben pagato, un aiuto negli affari o cure per i padre di una giovane, gravemente malato. Tutte si erano fidate e avevano iniziato ad uscire con quello che sembrava un galante gentiluomo. Fin dai primi appuntamenti, però, l’imprenditore le aveva drogate, fotografate e violentate.

Anche la ex moglie, da cui Di Fazio ha un figlio adolescente, ha raccontato degli abusi durante tutto il matrimonio e del tentativo di Di Fazio di ucciderla, dopo averla attirata in una trappola.

Nessuna aveva trovato il coraggio di denunciare. Finite le ‘relazioni’, l’uomo pedinava le sue vittime, le riempiva di messaggi e le faceva intimidire anche da un conoscente, pregiudicato, legato alla ndrangheta. Non solo. Raccontava a tutte di far parte dei servizi segreti o delle forze dell’ordine – con tanto di falsi tesserini –  e diceva di avere l’impunità. Il processo per l’imprenditore 50enne è in corso e riprenderà a gennaio.

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