‘Ndrangheta, subappalti e operai vessati dietro ai cantieri ferroviari: l’influenza delle cosche

Nelle intercettazioni anche un “accordo spartitorio”. Le mani della ‘ndrangheta sui lavori nei cantieri ferroviari in tutta Italia. Sono tanti da Nord a Sud e finiti sotto la lente dei magistrati milanesi. Ecco come agivano le cosche.  

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Maxi inchiesta dalla Dda di Milano sui cantieri ferroviari di mezza Italia.
I tentacoli della ‘ndrangheta sui lavori della Rete di ferroviaria italiana. E un presunto “accordo spartitorio”  – su cui la Procura di Milano sta ancora indagando –  tra le grandi imprese del settore ferroviario. E ancora: lavoratori non qualificati e vessati dalle aziende vicine alle cosche. Un giro di fatture false per creare fondi neri. C’è questo e molto altro ancora nelle 380 pagine dell’ordinanza con cui il gip Giusi Barbara ha disposto 15 misure cautelari – 11 in carcere e 4 ai domiciliari – nell’ambito dell’inchiesta per i lavori di manutenzione sulle linee ferroviarie

Il meccanismo dei subappalti mascherati

Il meccanismo era molto complesso.  Attraverso un sistema di “subappalti mascherati” che coinvolgeva anche le grandi società appaltatrici, Rfi di fatto avrebbe di fatto assegnato i lavori a società legate alle cosche. Da quanto è emerso dalle indagini, spesso gli operai che finivano nei cantieri non avevano “alcuna competenza professionale” e la loro documentazione era  frutto di “falsificazione”. Il personale lavorava anche in “condizioni di sfruttamento”.
Coinvolti, per i pm milanesi, anche “gruppi imprenditoriali” che “gestiscono in regime di sostanziale monopolio l’aggiudicazione delle commesse per i lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria direttamente da Rfi”. Si tratta delle società “G.C.F. Costruzioni Generali spa, Gefer srl, Armafer spa, Globalfer spa, Salcef spa, Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie spa, Fersalento srl, Euroferroviaria spa”.
Gli imprenditori vicini alla ndrangheta
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La manutenzione era affidata a operai non qualificati e spesso sfruttati.

L’inchiesta, scrive il gip, ha “accertato che alcune società riconducibili agli Aloisio e ai Giardino”  lavorano “da anni stabilmente nel settore della manutenzione della rete ferroviaria” fornendo “manodopera alle grandi società vincitrici delle gare di appalto”. Le due famiglie di imprenditori sono ritenute contigue alla cosca Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto.  E “dietro questa immagine ufficiale di imprenditori” di successo, fa notare il gip,  si nasconde “il volto di uomini quantomeno contigui alla ‘ndrangheta”. E che dall’organizzazione criminale “mutuano metodi violenti per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui loro cantieri o con gli operai che vi lavorano”.

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Nelle carte spuntano anche i nomi dei colossi del settore.  “Ventura ha tutta la Calabria, Morelli ha tutta la Campania ed Esposito ha tutta la Sicilia, Rossi ha tutto il Nord Italia”, dice Alfonso Giardino, indagato, a Maurizio Aloisio. Trai grandi gruppi, poi, potrebbe essere stato stretto un “accordo spartitorio” su cui la procura sta ancora indagando.

L’influenza della cosche

Grazie alla possibilità di lavorare nei cantieri di Rfi, le due famiglie riuscivano anche “accrescere” il loro “potere”. Lo facevano attraverso il “reclutamento dalla ‘Calabria Saudita’”, come si legge in un’intercettazione, “della pressoché totale ‘forza lavoro’ necessaria ad eseguire i lavori di cui alle commesse”.

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Le società vicine alla cosca si facevano pagare dalle vincitrici degli appalti per il “distacco” dei loro lavoratori in quelle imprese, molto note, che vincevano gli appalti con Rfi. I colossi del settore intanto iscrivevano quei costi e ne traevano benefici fiscali.

Con i soldi ottenuti, invece, le aziende vicine alla ‘ndrangheta, stando alla ricostruzione, pagavano gli operai che lavoravano nei cantieri, ma “in parte” anche “fatture per operazioni inesistenti ricevute da altre società”. Si creavano così fondi “restituiti ‘in nero’ alle società” ai colossi del settore, che avevano vinto le gare di Rfi.

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