Caporalato, arresti a Foggia: nei guai la moglie del Direttore dell’Immigrazione del Viminale

Operazione anti Caporalato a Foggia dei Carabinieri di Manfredonia e Ispettorato sul lavoro. Cinque arresti: 2 persone in carcere, 3 ai domiciliari. ci sono altri 11 indagati, tra questi la moglie di un prefetto, il Direttore del Dipartimento Immigrazione del Viminale: si è dimesso. 

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Caporalato, arresti a Foggia: nei guai la moglie del Direttore dell’Immigrazione del Viminale – Immagine Twitter

Il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha accettato le dimissioni del Capo Dipartimento per la Libertà Civile e Immigrazione del Viminale, Michele Di Bari.
La moglie del prefetto è tra le 16 persone indagate in un’inchiesta per caporalato della Procura di Foggia. Di Bari poco fa ha dichiarato che insieme alla moglie hanno fiducia nella giustizia. Di essere molto dispiaciuto per l’accaduto e sicuro del comportamento della moglie, perchè a suo dire, la signora ha sempre mantenuto comportamenti nel rispetto della legalità.

Nell’ambito delle indagini sono state arrestate 5 persone: di queste 2 sono in carcere e 3 ai domiciliari. Per gli altri 11 indagati è scattato solamente l’obbligo di firma. L’indagine riguarda attività risalenti al periodo tra luglio e ottobre 2020, ha portato alla verifica giudiziaria le condotte poste in essere da 10 aziende agricole riconducibili ad alcuni dei soggetti indagati. E’ di cinque milioni di euro il valore complessivo del volume d’affari annuo ottenuto dalle aziende ispezionate.

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Caporalato a Foggia, lo sfruttamento e il ruolo della moglie del prefetto

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Caporalato a Foggia, lavoravano tutto il giorno per pochi euro

Braccianti sfruttati, lavoravano ininterrottamente da mattina a sera per una manciata di euro. Numerosi gli immigrati, quasi tutti provenienti dall’Africa, che venivano impegnati nella raccolta nelle campagne della Capitanata. Molti di loro ‘residenti’ nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, dove si trova un accampamento che ospita circa 2000 persone, in condizioni igienico sanitarie fortemente a rischio.

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Le indagini hanno evidenziato il trattamento disumano dei lavoratori al quale venivano sottoposti dai rispettivi capi. Costretti a lavorare in condizioni di sfruttamento, senza sosta dalla mattina alla sera. 5 euro la retribuzione per ogni cassone di pomodori riempito. Gli indagati al comando si sarebbero approfittati delle condizioni difficili delle vittime, si legge dalle carte dell’inchiesta. Decine le etnie di lavoratori coinvolti. Quando i carabinieri sono arrivati nelle aziende per i controlli, diversi gruppi di braccianti sono fuggiti per evitare di essere identificati.

Il ruolo della moglie del prefetto

Secondo l’accusa, che lo scrive nelle pagine dell’ordinanza nell’inchiesta per caporalato, la signora Livrerio Bisceglia comunicava al telefono il numero di braccianti che le servivano per il lavoro nei campi. Avrebbe gestito e controllato lei direttamente i migranti. Saidy il reclutatore si faceva pagare una quota da ogni bracciante come intermediario per il lavoro trovato. I due secondo i magistrati di Foggia avrebbero trattato le vittime come se i braccianti fossero di proprietà.

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