Naufragio in Grecia, oltre 400 dispersi: nella stiva circa 100 bambini. Gli allarmi ignorati della Guardia costiera greca

Il naufragio di un peschereccio avvenuto a largo delle acque dell’Egeo potrebbe essere una seconda strage di migranti dopo quella di Cutro. Sul barcone affondato oltre 750 persone, 100 sono bambini. Perché nessuno ha agito agli allarmi inviati

Il barcone affondato nel Mar Egeo trasportava fino a 750 migranti. Al momento il bilancio provvisorio è devastante con 79 vittime ufficiali, 109 superstiti e oltre 400 dispersi. I sopravvissuti hanno raccontato che oltre 100 erano i bambini nella stiva, chiusi dentro per rifugiarsi dal maltempo.

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Naufragio in Grecia, oltre 400 dispersi e 79 vittime al momento accertate cosa è successo (@facebook) free.it

La tragedia, l’ennesima in mare, ricorda molto quella avvenuta a largo delle coste calabresi, a Cutro. La polemica insorta dopo il naufragio, in questo caso, riguardano i segnali d’allarme lanciati ma non colti dalla Guardia costiera greca.

Ed ora con il trascorrere delle ore, la speranza di ritrovare persone ancora vive in mare si sta affievolendo sempre di più. Il dramma è avvenuto il 13 giugno, al largo di Pylos, nel sud del Peloponneso, in Grecia. Secondo una stima approssimativa avanzata dalla Ong Alarm Phone, sulla nave affondata le persone a bordo sarebbero più di 750 e i dispersi anche 500. Se questi dati fossero confermati, la tragedia accaduta ieri sarebbe una delle peggiori registrate nella storia delle migrazioni nel mar Mediterraneo.

Naufragio in Grecia: peschereccio affonda con a bordo 750 migranti. Il post di Nawal Soufi

Nawal Soufi, attivista per i diritti umani, ha riportato attraverso un comunicato stampa pubblicato sulla sua pagina Facebook, la tragedia che ha colpito un peschereccio nel mar Egeo lo scorso 13 giugno:

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Naufragio in Grecia, cosa è successo? (@facebook) free.it
“Nelle prime ore del mattino del 13 giugno, i migranti a bordo di una barca carica di 750 persone mi hanno contattata comunicandomi la loro difficile situazione. Dopo cinque giorni di viaggio, l’acqua era finita, il conducente dell’imbarcazione li aveva abbandonati in mare aperto e c’erano anche sei cadaveri a bordo. I migranti non sapevano esattamente dove si trovassero, ma grazie alla posizione istantanea del telefono Turaya, ho potuto ottenere la loro posizione esatta e ho allertato le autorità competenti”.
Purtroppo, continua l’attivista: “La situazione si è complicata quando una nave si è avvicinata all’imbarcazione, legandola con delle corde su due punti della barca e iniziando a buttare bottiglie d’acqua. I migranti si sono sentiti in forte pericolo, poiché temevano che le corde potessero far capovolgere la barca e che le risse a bordo per ottenere l’acqua potessero causare il naufragio”.
“Per questo motivo, si sono leggermente allontanati dalla nave per evitare un naufragio sicuro”. Poi, con l’avanzare della notte la situazione a bordo della nave è diventata ancora più drammatica: “I migranti erano confusi e non capivano se quella fosse un’operazione di salvataggio o un modo per mettere le loro vite ancora più in pericolo. Io sono rimasta in contatto con loro fino alle 23:00 ore greche, cercando di rassicurarli e di aiutarli a trovare una soluzione. Per tutto il tempo mi hanno chiesto cosa avrebbero dovuto fare e io continuavo a dire che i soccorsi greci sarebbero arrivati. In questa ultima chiamata, l’uomo con cui parlavo mi ha espressamente detto: “Sento che questa sarà la nostra ultima notte in vita”. Quando i migranti si sono leggermente allontanati dalla nave, non c’era alcuna intenzione di continuare il viaggio verso l’Italia, perché non avrebbero saputo navigare per arrivare in acque italiane, poiché mancava il vero conducente della barca e continuavano a chiedere cosa fare. Avevano assolutamente bisogno di aiuto nelle acque dove si trovavano e se mi avessero espresso la volontà di voler continuare il viaggio verso l’Italia avrei ovviamente mandato un aggiornamento a Malta, Grecia e Italia, ma i migranti non hanno mai detto nulla di simile”.

La Guardia costiera greca era informata ma non ha agito

Dopo il naufragio dell’imbarcazione, arriva la denuncia di Alarm Phone che, come riporta anche fanpage, ha dichiarato: “Ieri avevamo allertato la Guardia costiera ellenica alle 16:53 per l’imbarcazione in difficoltà, poiché le persone ci avevano chiamato per chiedere aiuto”.

Le autorità greche, ma anche quelle italiane e maltesi, erano già state allertate diverse ore prima. Tutti erano ben consapevoli di questa nave sovraffollata e inadeguata. Non è stata avviata un’operazione di salvataggio. La Guardia Costiera greca ha iniziato a giustificare il mancato soccorso sostenendo che le persone in difficoltà non volevano essere soccorse in Grecia”.

Le persone sopravvissute, al momento 109,  sono state portate all’ospedale locale di Kalamata. Davanti al porto di Kalamata sono state allestite delle tende, gestite dalle Nazioni unite, la Croce rossa e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Un secondo attivista greco, Iasonas Apostolopoulos, ha confermato le accuse verso la Guardia costiera greca dicendo in un post social: “Sapeva della barca da martedì a mezzogiorno. sono stati allertati sia dalle autorità italiane, che da Frontex, che da Alarm Phone. Hanno avuto 24 ore per lanciare un’operazione di soccorso e non hanno fatto nulla. La scusa? I rifugiati non volevano essere salvati!”

La Guardia costiera greca ha localizzato 750 persone su un peschereccio senza giubbotti salvagente, in mezzo al nulla, e le ha lasciate al loro destino. Gli volevano far fare altri 500 chilometri, fino all’Italia, in queste condizioni?”. La barca partita dalla Libia era, effettivamente, diretta in Italia ma l’attivista greco ribadisce: “La gente ha paura della Guardia costiera greca. Ma questo non solleva la stessa Guardia costiera dalla responsabilità di salvare la gente seppur questi ultimi non si fidano di loro. Il motivo è che se la Guardia costiera greca localizza i profughi, li picchia, li deruba, li tortura e il abbandona nelle acque turche”.

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