Cina, giornalista denunciò i segreti di Wuhan: rischia di morire in prigione

Sul finire dello scorso anno venne condannata a 4 anni di carcere per aver documentato la situazione a Wuhan, epicentro della pandemia di Covid-19 in Cina, nei giorni in cui la città cinese finiva sotto i riflettori di tutto il mondo. Ora una giornalista cinese rischia la vita.

Cina, giornalista denunciò i segreti di Wuhan: rischia di morire in prigione

A quanto riporta Amnesty International, che cita fonti tra i familiari della donna, la giornalista 37enne Zhang Zhan rischierebbe di morire entro l’inverno se non opportunamente curata. La donna è entrata in sciopero della fame in protesta contro la sua incarcerazione, ritenuta illegittima. L’accusa, tipica per attivisti e dissidenti cinesi, è quella di aver “provocato disordini”. A dicembre la donna era così debole da dover presenziare al suo processo in sedia a rotelle.

Amnesty International chiede alle autorità cinesi “il suo rilascio, affinché possa terminare la protesta“, ha dichiarato Gwen Lee, attivista dell’organizzazione. “La persecuzione del governo cinese contro la giornalista è un duro attacco ai diritti umani“, ha aggiunto, ricordando l’importanza dei citizen-journalists come Zhang nel contesto cinese, dove i media sono fortemente controllati dalle autorità.

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Zhang Zhan, la giornalista che svelò la realtà di Wuhan durante la pandemia

Zhang Zhan, spiega una nota di Amnesty, avrebbe documentato nel corso dello scoppio della pandemia come i poliziotti cinesi minacciassero i giornalisti che provavano a documentare la situazione a Wuhan. Inoltre, Zhang avrebbe puntato il suo obiettivo anche sulle famiglie dei malati di Covid-19, intimidite dalle autorità affinché non parlassero di cosa stava succedendo.

In più avrebbe mostrato in numerose foto e video le strade deserte e gli ospedali affollati della città, immagini che avremmo poi visto riproporsi a tutte le latitudini del globo. Di Zhang si persero le tracce nel maggio 2020, poi la donna fu dichiarata in arresto e detenuta a Shanghai. Dopo la fine del processo, aggiunge Amnesty International, a Zhang è stato impedito di vedere il suo avvocato così come i suoi familiari.

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