Problemi a causa delle limitazioni del Bonus dedicato a chi rientra in Italia. Le agevolazioni vengono bloccate, perché?
Chi rientra in Italia può approfittare di regimi agevolati. Sono vigenti due diversi regimi di incentivi fiscali incompatibili tra loro per chi decide di rispostare la residenza fiscale nella nostra penisola dopo essere stato all’estero. L’obiettivo è spingere verso il rientro nella nazione d’origine promettendo un risparmio ossia riduzioni fiscali tra il 50 e il 70%.

Il rientro in Italia è ancora una priorità? Non sembrerebbe considerando la doppia stretta sui regimi agevolati dedicati ai cittadini che trasferiscono nuovamente la residenza nel Bel Paese. Ad essere coinvolte in una rivalutazione le possibilità di cumulo presenti nella normativa dopo la Riforma degli impatriati che ha introdotto la detassazione al 50% o al 60% per il rientro dei cervelli.
C’è il “no” all’idea di aumentare notevolmente il vantaggio fiscale sommando l’accesso al regime riservato ai nuovi ingressi e ai rientri con quello dei docenti e ricercatori. In più sarà predisposto lo stop tra impatriati e “Paperoni” con tassazione a imposta sostitutiva solo per i redditi prodotti all’estero. Si prevede la pre-esclusione già per l’anno d’imposta 2024.
Requisiti per le agevolazioni previste per il rientro dei cervelli 2025
Beneficiano degli incentivi fiscali i contribuenti con redditi da lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente e i redditi da lavoro autonomo. Sono esclusi i redditi d’impresa. Il limite di reddito potenzialmente agevolabile è di 600 mila euro (limite per ogni anno, non all’interno dei cinque anni di periodo agevolato).

Per quanto riguarda la percentuale di non imponibilità dei redditi oggetto di agevolazione nel 2025 è del 50% per i nuovi lavoratori che rientrano in Italia. Per rientrare tra gli impatriati bisognerà soddisfare alcuni requisiti ossia
- impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per minimo 4 anni,
- non essere risultato fiscalmente residente in Italia nei 3 anni precedenti al trasferimento,
- svolgere attività lavorativa in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
- appartenere alla categoria dei lavoratori ad alta qualificazione e specializzazione.
La permanenza all’estero, poi, dovrà risultare minimo di 6 anni se il contribuente non ha lavorato in Italia per uno stesso datore di lavoro o per un soggetto appartenente al suo gruppo oppure di 7 anni qualora il cittadino prima di trasferirsi all’estero abbia lavorato alle dipendenze dello stesso datore di lavoro o di un altro datore dello stesso gruppo (si intendono persone con rapporto di controllo diretto o indiretto o sottoposte al comune controllo diretto o indiretto da parte di un altro soggetto).