Libia, giovane migrante in preda ai carcerieri: normale amministrazione che diventa tortura. Il video riapre il dibattito sull’immigrazione.
Libia, la vita strappata alla normalità. Questo subisce, tra le altre cose, chi scappa dalla guerra: un abuso costante per chi ha soltanto la colpa di essere nato dalla parte “sbagliata” del mondo. Tutto racchiuso in un video che catapulta in un mondo troppo cruento ma altrettanto vero per essere ignorato.
A fare luce sui misfatti è Refugees Libya che mostra le torture a cui vengono sottoposti i prigionieri che scappano dalla guerra: le urla e il grido di dolore, nel caso specifico, sono di Abdul che ha lasciato il proprio paese d’origine. Tigrai. Ora è immerso nell’inferno di Tripoli: in una prigione che non lascia spazio all’immaginazione. La crudezza della verità fa a pugni con qualsiasi tipo di ambizione, tutto schiacciato dalle scosse dei taser e non solo. Questo e molto altro deve subire chi cerca, o spera, in un futuro migliore.
Per questo le ONG chiedono ascolto: è impossibile, dicono, che l’immigrazione sia ancora una piaga sociale così complessa da gestire. In un mondo all’altezza della modernità l’accoglienza dovrebbe – sottolineano – essere in cima alla scala dei diritti umani. Attende invece l’ennesima risalita a fronte del buio pesto, quello in cui Abdul si ritrova – suo malgrado – spalle al muro seminudo e con le gambe legate.
Il suo destino è legato a una pistola, puntata alla tempia, che potrebbe sparare o forse no. Di mezzo un riscatto che potrebbe arrivare, oppure essere atteso invano.
Il video, che ha fatto il giro dei principali network, sintetizza un grido d’allarme: tanti come Abdul ostaggio delle coincidenze. Sperare nella salvezza non può essere – ancora oggi – un’impresa. Per questo molti non rinunciano, anche se i fatti porterebbero a fare il contrario, a un futuro migliore. Proprio come quello che cerca questa gente strappata dalle proprie comunità per cercare la serenità.
Una peculiarità così scontata e al tempo stesso tanto ambita per chi comincia una giornata senza sapere come e se finirà. L’obiettivo è non chiederselo più in attesa di risposte concrete.
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