Le indagini sulla morte di Luca Attanasio sono state chiuse, i rapitori, come riportato dalla procura di Roma, chiedevano un riscatto di 50mila dollari. Si è trattato di un rapimento a scopo di estorsione finito male.
Nell’uccisione di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano in Congo morto un anno fa insieme al carabiniere della sua scorta, Vittorio Iacovacci, a seguito di un attentato lungo la strada che separava Goma e Rustshuru mentre tornavano da un viaggio organizzato dal Pam, ora la procura di Roma fa chiarezza, trovando un movente alla strana morte delle due vittime:
“I rapinatori volevano un riscatto di 50mila dollari, ma noi quei soldi non ce l’avevamo, si è trattato di un rapimento per estorsione finito male”.
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La procura di Roma, come riportato anche da repubblica, per la morte avvenuta il 22 febbraio dello scorso anno dell’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio e l’agente della scorta, Vittorio Iacovacci, ha trovato un movente che ha portato alla chiusura del caso: “I rapinatori volevano 50mila dollari se no ci avrebbero portato nella foresta. Ma noi non avevamo quei soldi”.
Questa dichiarazione – flebile – è bastata a far chiudere le indagini e rendere la morte dell’ambasciatore Attanasio un caso di rapimento a scopo di estorsione finito nel peggiore dei modi.
Ciò che risulta un po’ bizzarro se si vagliano in modo più approfondito gli atti della chiusura delle indagini che, vedevano indagati due dirigenti del Pam, si nota la lunga sequela di omissioni ed errori commessi dai funzionari, tra cui risultano addirittura sette individuati dalla stessa Onu, i quali avrebbero lasciato l’ambasciatore e il carabiniere senza una corretta protezione lungo il viaggio in quella che è stata definita una zona ad alto rischio.
Lo stesso dirigente Pam – Rocco Leone – indagato a Roma, ha dichiarato: “Le carte non erano in regola, il nome di Attanasio non risultava nei documenti di viaggio poiché se così fosse stato, sicuramente, le modalità di sicurezza a suo riguardo sarebbero state diverse, come per esempio, utilizzare il mezzo blindato o far indossare i giubbotti antiproiettili”.
Il secondo funzionario Pam indagato, Mansour Rwagaza Luguru, racconta a Sergio Colaiocco, procuratore aggiunto di Roma, che il viaggio quel giorno stava procedendo bene fino a quando non sono arrivati a Kibumba e dalla foresta sono comparsi sei soggetti armati di fucili e machete.
“Di questi, uno puntò un’arma mentre il secondo soggetto sparò un colpo. I rapinatori c’hanno intimato di consegnare i soldi – 50mila dollari – ma noi non avevamo tutti i soldi.”
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