INPS, le pensioni sono un enigma. I contributi non bastano più, alcune categorie rischiano di saltare: come cambiano i piani di congedo.
Attenzione alle pensioni: la situazione resta invariata, si continua a lavorare al Governo per assicurare una riforma sulle minime tra contributi effettivi e retribuzione. Questione di sistema: le prossime settimane saranno importanti per capire quando si potrà effettivamente agire in tal senso.
La morte di Silvio Berlusconi ha scombinato i piani alterando l’agenda politica: le priorità, comunque, sono ben chiare. Dopo i funerali di Stato, previsti per la giornata di mercoledì, subito al lavoro anche sul tema pensionistico. Non bastano i contributi. Questo l’allarme principale che rischia di mettere a repentaglio determinate professioni che potrebbero veder ridimensionare la propria entrata.
Le ragioni di tale riformulazione è possibile spiegarle in alcuni passaggi fondamentali su cui l’esecutivo sta lavorando: tutto è momentaneamente in freezer per via del taglio del cuneo fiscale che grava sugli altri tipi di riforme tra cui la sanatoria e la rimodulazione delle pensioni. Nella fattispecie ci saranno alcune categorie di lavoro più esposte di altre al ridimensionamento e la politica vuole (per non dire deve) evitare questa situazione prima che sia troppo tardi.
Un impiegato di 71 anni che non ha raggiunto i vent’anni di contributi previdenziali per la sua vecchiaia non potrà andare in pensione: la Legge Fornero coinvolge direttamente, in tal caso, i contributivi puri. Cosa significa: la pensione di vecchiaia si va a concentrare sull’età specifica partendo da un minimo di 5 anni di contributi versati, per coloro che hanno cominciato a farlo nel 1995. Dal 31 dicembre in poi.
Un lavoratore, quindi, per avere la pensione a 67 anni – con una ventina di contributi versati – dovrà effettuare il completamento di un determinato requisito da aggiungere a quanto richiesto. L’importo pensionistico, nello specifico, deve essere superiore 1,5 volte rispetto alla cifra spettante dell’assegno sociale.
Un contributivo puro, invece, sarà impossibilitato a raggiungere la pensione una volta compiuti i 67 anni di età. Dovrà, quindi, chiedere congedo una volta raggiunti i 71 anni. L’età in questione scavalca il requisito equivalente ai vent’anni di contributi versati e viene meno anche il fattore della pensione pari a una volta e mezzo l’assegno sociale.
I trattamenti assistenziali e le pensioni previdenziali cambiano da un contribuente all’altro. Al momento, l’assegno sociale è l’unica entrata determinata da parte dell’INPS, ma è possibile riceverla soltanto se il reddito non supera i 6085,43 euro: la situazione cambia leggermente per i coniugati, in quel caso si arriva ai 12170,86 euro di soglia minima.
I parametri sono circostanziati e il confine tra diritto e beffa sembra essere davvero labile: la politica sta lavorando per allargare le maglie in tal senso e aggiustare quelle criticità sul piano contributivo che dovrebbero appianare ogni distanza ed elargire anche somme leggermente più alte rispetto al minimo. Il tempo scorre, i dubbi aumentano e le risposte (in parte) mancano: un rebus che dovrà essere risolto prima che la contingenza superi lo spaesamento.
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