L’International Women’s Day ricorda la lotta delle donne per la parità dei diritti: dall’Iran all’Ucraina tante le ferite ancora aperte.
Uno spaccato di vita. L’International Women’s Day ricorda a tutti e a tutte quanto ci sia ancora da lavorare per raggiungere la parità di genere in politica, sul lavoro e nella vita quotidiana. Questo giorno, però, sa essere anche una lente d’ingrandimento sul mondo: i confini, con la globalizzazione, sono sempre più larghi.
Significa che i problemi di tutte e tutti riguardano da vicino chi vuole andare oltre l’ordine costituito: chi s’indigna perchè le cose non vanno come vorrebbe. Nel mondo è pieno di bambine e donne costantemente in lotta per sé stesse e per gli altri: una comunità più inclusiva è quella che non guarda al genere come un tratto distintivo per ghettizzare, ma per agevolare una visione pluralista con eguali diritti e doveri.
Dall’Iran all’Ucraina, passando per l’Africa e l’Afghanistan, non è sempre così. Anzi, troppo spesso assistiamo a cortocircuiti che mettono in evidenza le pecche di un sistema patriarcale che vuole ancora oggi la donna sottomessa. Esistono, quindi, sempre più situazioni trasversali che vedono personalità di vario tipo prestarsi all’attivismo per cercare di interrompere questa catena sadica che prosegue senza sosta. L’unico rimedio è la resistenza: quella che portano avanti milioni di donne da tempo, oltre il pregiudizio e una morale distorta che – in taluni casi – concepisce le armi come solo strumento di dialogo.
Samirà Ardalani, studentessa e attivista italiana nata da esuli iraniani, usa i social per diffondere un credo che sta prendendo piede in tutto l’Iran e non solo: “Donna, vita, libertà”. Contro l’oppressione della dittatura e di una morale che vuole le donne in secondo piano, addirittura punizioni corporali o uccisioni (come è successo alla giovane Mahsa Amini) per chi non porta il velo. Meglio conosciuto come hijab.
“Saranno le donne a portare il cambiamento in Iran”, dice Ardalani. La strada, però, è ancora lunga. La stessa che stanno percorrendo le donne afghane e ucraine, le quali – secondo Simona Lanzoni, Vicepresidente di Pangea Onlus – non riescono ancora a far valere la propria posizione nonostante, in pieno conflitto, sono le uniche in grado di rispecchiare una civiltà messa in dubbio dalle armi.
Discorso analogo in Africa, dove si praticano rituali ancora più scellerati, come privare le donne del piacere fisico con interventi a dir poco impressionati. Estirpate alla radice: abusate quotidianamente. Avviene anche negli Stati Uniti, dove le violenze sono di altro genere: l’aborto messo in dubbio, gli scenari di povertà relativa che prendono il sopravvento sul resto. Il cammino delle donne è in salita. Ma la voglia di fare passi da gigante non è mai stata così grande.
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