Caso Soumahoro, c’è un secondo filone d’indagine | Cosa sappiamo su fondi anti-caporalato

Si allarga l’indagine sulla moglie e la suocera del parlamentare Aboubakar Soumahoro. Dalle carte dell’indagine di Latina sulle cooperative da loro gestite, infatti, emerge un nuovo filone accusatorio. Al centro dell’attenzione degli inquirenti ci sono i fondi anti-caporalato gestiti da PerLa, un progetto della cooperativa Karibu. Sempre guidato da Liliana Murekatete e Marie Thérèse Mukamitsindo, moglie e suocera di Soumahoro.

Finanziato con fondi regionali, il progetto PerLa aveva come obiettivo quello di salvare dallo sfruttamento dei migranti che lavorano nei campi coltivati. Invece che lavorare per i caporali, lavoravano nel progetto PerLa nella cooperativa Karibù. Peccato, però, che nessuno di quei lavoratori sia mai stato pagato per quel lavoro. Almeno è questo quanto emerge dalla nuova indagine della procura di Latina.

Caso Soumahoro
Caso Soumahoro, c’è un secondo filone d’indagine | Cosa sappiamo suo fondi anti-caporalato

Gli investigatori avrebbero già raccolto la testimonianza di alcuni stranieri che avrebbero confermato la vicenda. Uno dei racconti è raccolto dal Corriere della Sera. “Ho lavorato al progetto PerLa come mediatore linguistico. Era bello. Aiutava chi, come me, era arrivato in Italia cercando lavoro e trovando gente che si approfittava, ha raccontato uno dei lavori.

La sua identità è anonima per preservare le indagini e per evitare ritorsioni. “Io ero già alla Karibu dal 2017 – dice ancora – Il progetto è durato altri 4 mesi. Poi è finito. Ma i soldi non me li davano. Mi dicevano che c’erano ritardi. Che mi avrebbero pagato al più presto. Ma non è mai avvenuto. Mi sono rivolto al sindacato Uiltucs e dopo mesi, nel luglio scorso, siamo arrivati a un accordo. Spero sia rispettato”.

Le accuse contro la moglie e la suocera di Aboubakar Soumahoro sono gravi. Secondo quanto ricostruito, la loro cooperativa Karibù avrebbe intascato cinque milioni e mezzo di euro dal 2001 a oggi e quasi tutti senza gara. Ogni progetto, infatti, è stato prorogato per un motivo o per l’altro nel comune di Sezze, vicino Latina. Ma lo stesso è accaduto anche in altri comuni dell’agro pontino, dove la cooperativa è arrivata gestire 51 centri di accoglienza per migranti su 129 della regione Lazio.

Soumahoro, c’è un secondo filone d’indagine | Soldi all’estero, poi rientrati solo in parte

Di questi soldi, sembra che solo in minima parte siano stati usati effettivamente per gestire le strutture, pagare affitti, bollette e soprattutto stipendi. Sembra, invece, che i fondi siano arrivati all’estero, in particolare in Ruanda, dove sembra che la famiglia Soumahoro sia proprietaria di un resort di lusso.

Caso Soumahoro
Caso Soumahoro, c’è un secondo filone d’indagine | Cosa sappiamo suo fondi anti-caporalato

Il Ruanda compare anche in una delle testimonianze dei lavoratori del progetto PerLa. Un’altra delle operatrici, intervistata dal Corriere delle Sera, ha racconto di aver scoperto del resto nel 2018, quando ci fu un grande ritardo nei pagamenti degli stipendi. “Avevo lavorato in varie strutture tra il 2015 e il 2021. Ma dall’inizio gli stipendi sono stati erogati irregolarmente. E quando saltavano non veniva dato neanche il pocket money ai migranti, creando spesso momenti di tensione. Alla fine, noi dipendenti ci rivolgemmo ai sindacati e anche la Karibu contattò l’Usb per tentare una mediazione. La nostra protesta venne messa subito a tacere. Ma il fatto che non pagassero i lavoratori era noto a tutti. Anche all’Usb”.

Sarà la procura di Latina a fare luce sulla vicenda e a individuare i capi d’accusa. Fino a prova concreta, non c’è nessun capo d’accusa ma intanto, però, la vicenda ha un contraccolpo non indifferente sulla politica. Soumahoro, candidato ed eletto tra le file di Sinistra Italiana e Verdi, si è autosospeso dal partito. Ma all’interno del gruppo c’è grossa tensione.

Alcuni membri del partito sostengono di aver avvisato i dirigenti delle accuse, note da anni, e di aver suggerito di non candidare Soumahoro per questo. La segreteria, invece, si dice ignara e sconcertata per le accuse. E sia Nicola Fratoianni sia Angelo Bonelli hanno deciso, per ora, di non abbandonare il deputato. “Non c’è uno scaricare Aboubakar, c’è la volontà di fare chiarezza. Ci siamo confrontati con lui e abbiamo detto che deve chiarire tutto”, ha detto Bonelli.

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