La Sla è una terribile malattia neurodegenerativa che aggredisce il sistema nervoso centrale. Le conseguenze sono terribili e causano la paralisi dei muscoli volontari, coinvolgendo anche quelli respiratori. Adesso giunge però una notizia che lascia ben sperare migliaia di persone.
Grazie alla ricerca è stata finalmente scoperta la prima terapia per pazienti con specifiche mutazioni genetiche. Non si tratterebbe solo di un rallentamento della malattia, ma anche di un’inversione di marcia, generando miglioramenti significativi.
Lo scenario vedrebbe coinvolti i pazienti affetti dalla Sclerosi laterale amiotrofica portatori di mutazioni genetiche del gene Sod1, attraverso l’utilizzo del Tofersen. Quest’ultimo è un oligonucleotide antisenso (Aso). La sua azione incide sull’Rna messaggero, bloccando il processo di sintesi della proteina alterata.
La terapia per bloccare l’andamento degenerativo della malattia viene somministrata attraverso una iniezione lombare. Gli studi effettuati, che hanno visto l’Italia protagonista con la partecipazione dell’equipe medica dell’ospedale Molinette di Torino, sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine. “Si tratta di un risultato straordinario” – sostiene il prof. Adriano Chiò, responsabile del CRESLA di Torino e Direttore della Neurologia 1 dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. Lo scienziato si sofferma anche sulla eccezionale efficacia del farmaco che non sono rallenta, ma che talvolta regredisce la malattia. “L’effetto positivo del farmaco si manifesta in modo netto nel corso del primo anno di trattamento e successivamente persiste nel tempo. Il centro di Torino – continua Chiò – è stato l’unico in Italia e uno dei pochi nel mondo ad essere stato coinvolto direttamente nella conduzione della sperimentazione contribuendo con il maggior numero di pazienti rapidi nel mondo”.
Lo studio ha coinvolto 108 pazienti affetti da Sla con mutazione nel gene SOD1, divisi in pazienti a rapida e lenta progressione. Le fasi di applicazione sono state due. La prima è durata 6 mesi, la seconda è invece ancora in corso.
Si è potuta notare l’evidenza della riduzione della proteina SOD1 e dei neurofilamenti nei casi sottoposti alla terapia. I ricercatori hanno ringraziato tutti i pazienti e la Città della Salute del capoluogo piemontese, artefice di aver sostenuto l’iniziativa scientifica, permettendo i reclutamenti e il proseguimento dello studio, anche durante il periodo del lockdown.
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